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La pista uighura di Bangkok

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Quando 109 islamici uighuri dello Xinjiang cinese vennero deportati a luglio dalla Thailandia in Cina, diverse agenzie umanitarie protestarono contro il governo thailandese perché li mandava in pasto alle autorità di Pechino che perseguitano questa etnia considerata separatista. Lo stesso fecero con toni più minacciosi i blogger di siti musulmani turchi, dove si spiegava che i deportati erano scappati dalla loro terra dove è in atto da anni una severa e sanguinosa repressione di ogni attività “antinazionalista”, e c’erano con loro donne e bambini. A quanto pare gli uomini sono stati rispediti nello Xinjiang, e le loro donne coi figli in Turchia. Era la loro speranza ma anche una condanna, una separazione dolorosa per gente con tradizioni di unità familiare forte.

Anziani uighuri dello Xinjiang cinese

Anziani uighuri dello Xinjiang

Ora quella decisione delle autorità thai riaffiora – secondo fonti ancora anonime ma attendibili - tra i possibili moventi della strage di Ratchaprasong che ha ucciso 22 persone, tra le quali 4 cinesi, due di Hong Kong e due della Madrepatria comunista, oltre a un cittadino di Singapore. L’ipotesi combacia con alcune considerazioni raccolte a Bangkok in questi giorni di ansia.

L’attacco indiretto alla Cina

Tra i feriti il numero più alto è di cinesi, 28 su 120, appena 14 meno dei cittadini thai, oltre a molti tra quelli non ancora identificati che sono 44. La presenza di turisti in charter e da soli dalle città del grande Paese confinante era infatti costante in quel tempietto di Erawan dove si chiede buona fortuna e protezione all'immagine del dio Brama dorato dai quattro volti. I cinesi, nonostante l’ateismo politico del proprio Paese, sono sempre stati superstiziosi e pronti a pregare, specialmente se non costa niente, una qualsiasi divinità cui si attribuiscono miracoli. Così era descritta dalle agenzie turistiche cinesi “l’attrazione” del tempio induista venerato anche dai buddhisti cui si poteva chiedere qualsiasi cosa. Per evocarne i poteri bastava accendere un incenso da pochi baht, e magari farsi un selfie davanti alla statua. Ma la presenza cinese in Thailandia non si limita ai luoghi religiosi, anzi. E' diventata dilagante specialmente nell’ultimo anno o due dopo la proiezione in Cina di un film virale chiamato “Perso in Thailandia”, dove il Regno viene presentato come un posto very cheap, molto economico ed eccitante dove andare.

Turisti cinesi davanti a un tempio thai

Turisti cinesi davanti a un tempio thai

La presenza delle grandi comitive dalla Cina ha anche salvato l’economia della Thailandia in generale, visto che hanno coperto il vuoto creato dall’abbandono dei turisti occidentali, in netto calo dopo la crisi politica e il golpe.  

Anche, ma non solo per questo, la nuova linea del governo militare thai è sempre più orientata verso Pechino piuttosto che Washington, un fatto che ha fortemente disturbato la minacciosa diplomazia americana preoccupata di perdere una base anche militare in questo punto strategico del sudest asiatico. Proprio dagli Usa è partita la critica più severa contro la decisione del governo mlitare di Bangkok di accogliere la richiesta di Pechino per “restituire” alla Madrepatria i profughi uighuri scoperti in Thailandia e arrestati per immigrazione illegale. Ma la Cina verso gli uighuri ha fatto di più che farsi ridare gli esuli. Oltre alle persecuzioni, nell’ultimo ramadan ha anche vietato in certe zone il digiuno rituale, un fatto inaudito per i fedeli dell'Islam.

Dalla sua parte la Cina rivendica il diritto di fare come gli Stati Uniti e di prevenire le imprese terroristiche degli Uighuri anche all'estero, compresi i territori in guerra per il Califfato di Al Baghdadi. La sua intelligence sostiene che gli uighuri del Fronte di liberazione del Turkestan orientale passati attraverso la Turchia per raggiungere i guerriglieri dell'Isis sono stati più di 300 nell'ultimo anno. Anche membri delle famiglie fermate in Thailandia erano sospettati di essere militanti.

Il mistero della statua

C’è un altro tassello ad avvalorare la pista della vendetta uighura o dell’estremismo islamico in generale. Un tassello sottile ma consistente, che sembra tagliare fuori definitivamente anche l’ipotesi più accreditata nelle prime ore, la pista politica del dissenso e le responsabilità del leader esule Thaksin Shinawatra. Vediamo perché. La statua di Brama davanti alla quale è stata compiuta la strage è sacra per tutti i buddhisti thai, dissidenti o filo-regime, anche se ha l’aspetto di una divinità induista, e nessun oserebbe compiere un sacrilegio come quello del 17 agosto. E’ la grazia delle sue forme unita al potere del culto originario di Brama il creatore ad attrarre i devoti influenzati dall’antica religione che si impose dall’India nell’antico Siam prima della conversione al Buddha, come dimostra la stessa venerazione per il dio delle arti e dei soldi Ganesh. La personificazione degli dèi e l’idolatria sono invece per definizione i nemici dell’Islam, e dunque un motivo in più per colpire a Erawan piuttosto che in un grande magazzino o a casaccio sulla metropolitana.

Devozione al tempio di Brama a Erawan

Devozione al tempio di Brama a Erawan

Le connessioni investigative con il separatismo islamico del Sud

I separatisti islamici che operano nel sud della Thailandia ai confini malesi hanno scatenato una guerra separatista costata più di 6500 morti in 11 anni, ma a differenza degli Uighuri che attaccarono nel cuore di Pechino, i Malay non hanno mai agito in nessuna provincia più a nord del triangolo dell’ex Sultanato di Pattani, Yala e Narathiwat. L’eventualità che abbiano offerto pero' supporto al giovane con la maglietta gialla e agli attentatori del fiume Chao Praya non è azzardata, e combacia con le deduzioni degli investigatori secondo i quali gli esecutori si sono serviti di qualcuno con buona conoscenza dei luoghi, non solo nel caso del primo attentato al tempietto, ma anche nel correlato episodio del giorno dopo, la bomba lanciata come una granata contro turisti e thai sul molo di Saphan Taksin, e finita fortunatamente nell’acqua. La polizia si è detta certa che l’ordigno era destinato a provocare parecchie vittime se fosse esploso sul cemento del molo delle barche che navigano il Chao Praya. Un fatto ancora da verificare, anche se gli inquirenti non hanno dubbi delle connessioni tra questo episodio e la bomba nello zaino piazzata a Ratchaprasong.

Scenari

L’ipotesi di una pista uighura apre uno scenario nuovo per diversi altri casi di imprese terroristiche che hanno visto tra le vittime un grande numero di turisti cinesi. Oltre agli accoltellamenti di cinesi nelle stazioni affollate dello Xinjiang e le bombe fatte esplodere nella supersorvegliata piazza Tienanmien, è rimasto sospeso l’interrogativo sul possibile ruolo di terroristi uighuri  nella scomparsa del volo MH370 della Malaysian airlines (vedi blog https://bultrini.blogautore.repubblica.it/category/uighur/) una vicenda misteriosa durante la quale emerse un elemento interessante ma finora senza seguiti investigativi pubblicamente noti, ovvero la presenza a bordo di un turco originario delle tribù uighure dello Xinjiang che insegnava in un’università mediorientale tecniche di simulazione di volo. Sarà importante notare che su quell'aereo la maggioranza delle vittime era cinese e stavano tornando a casa da una delle metropoli del Sud Est, la capitale dell'islamica Malesia Kuala Lumpur, prima di svanire da tutt'altra direzione.

Conclusioni

In vicende così delicate e circondate di silenzi anche statali (i familiari dei passeggeri del volo MH370 accusano esplicitamente la Malesia di aver taciuto dati), ogni ipotesi vale l’altra finché non si è dimostrata. Ma se una pista uighura dovesse emergere chiaramente da questo miscuglio di piccoli e grandi episodi sullo sfondo della strage del 17 agosto, potrebbero porsi due interrogativi importanti. Il primo riguarda il seguito di questa strategia di vendetta per la deportazione dei 109 profughi, che dipenderà dal livello di rabbia e desiderio di rivalsa covati tra i mandanti degli attentati di Bangkok. Se è vero che sono stati loro, potrebbero non essere i motivi tecnici a trattenerli dal colpire ancora, vista la difficoltà di controllare il gran numero di arabi che occupano interi quartieri della capitale e alcune delle strade più centrali attorno a Nana, il quartiere delle luci rosse dove i musulmani “buoni” (o "cattivi" secondo i punti di vista) si godono la vita cenando con le famiglie nelle decine di ristoranti tipici della zona, oppure con le giovani prostitute thai e straniere che affollano i gogo bar e le sale dove le ragazze danzano seminude attorno a un palo.

Donne in nero nel quartiere "arabo" di Nana a Bangkok

Donne in nero nel quartiere "arabo" di Nana a Bangkok

Tecnicamente è quasi un gioco da ragazzi eludere la sorveglianza anche delle telecamere piazzate nei luoghi pubblici, come ha dimostrato la sequenza di video dell’attentatore con la maglietta gialla. La borsa che conteneva il TNT collegato attraverso dei fili elettrici  a un cellulare, per esempio, è stata consegnata all’esecutore poco prima di portarla a destinazione, mentre sui vagoni dello skytrain BTS, pure videosorvegliati, non ce l’aveva. E’ solo un altro piccolo segno del livello di organizzazione degli attentati, come hanno compreso gli investigatori che parlano senza reticenza dell'azione di un network internazionale. Se i 22 morti saranno gli ultimi è presto per dirlo, ma l’ipotesi uighura potrebbe essere paradossalmente “migliore” per il Regno di quella del terrorismo interno, destinato eventualmente a durare nel tempo con effetti imprevedibili sulla stessa stabilità futura del sistema, compresa la monarchia.

Ma nessuno vuole andare così avanti, né sembra l’ipotesi di un terrorismo poltico diffuso uno scenario plausibile nel breve termine. Per il momento bisognerà dunque aspettare l’esito delle riflessioni che stanno di certo avvenendo a Pechino sul modo migliore di proteggere i propri cittadini che viaggiano sempre più massicciamente all'estero . Mai come in questo caso le scelte prese dalla Cina condizioneranno il futuro del turismo in Thailandia e nel resto dell’Asia o del mondo. E non solo quello.

* Testo aggiornato 1,30 pm, 20 agosto

 


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